Il tariffario per i corsi configura l’attività dell’Asd come non istituzionale

Premessa

All’associazione sportiva dilettantistica che adotta un tariffario per le diverse attività proposte, con indicati, per la piscina, prezzi diversi per i vari corsi di nuoto offerti, deve essere riconosciuta la natura commerciale. La presenza, infatti, di detto tariffario costituisce una prova inconfutabile che la gestione dell’attività associativa avviene secondo una logica imprenditoriale, in quanto finalizzata a offrire ai propri associati specifiche prestazioni dietro un corrispettivo variabile a seconda del servizio offerto.

Conseguenza di ciò è che all’ente, come detto, va riconosciuta una natura commerciale e, pertanto, lo stesso è soggetto all’applicazione del regime fiscale ordinario (ex articolo 80 del TUIR), in luogo di quello maggiormente favorevole previsto dalla legge n. 398/1991 per gli enti sportivi non commerciali. È quanto ha affermato, con la decisione n. 1506 del 23 maggio 2023, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, accogliendo le tesi dell’amministrazione finanziaria.

Il caso e il ricorso in primo grado

L’Agenzia delle entrate emetteva, nei confronti di un’associazione sportiva dilettantistica, un avviso di accertamento, con il quale rideterminava la base imponibile della stessa secondo i regimi contabili per le imprese, non riconoscendole il più favorevole regime tributario previsto, per gli enti non commerciali, dalla legge n. 398/1991. Ad avviso infatti dell’amministrazione finanziaria, l’associazione sportiva doveva essere qualificata come ente commerciale per la natura dell’attività svolta e comprovata dalla riscontrata presenza di un “tariffario piscina comunale”, dal quale si evinceva chiaramente che i prezzi variavano a seconda delle discipline praticate, e nel quale era prevista anche una scontistica tipica delle attività commerciali.

Non condividendo l’operato dell’ufficio, l’associazione sportiva dilettantistica impugnava l’avviso di accertamento dinanzi la competente Corte di giustizia tributaria di primo grado di Catanzaro, che respingeva il ricorso confermando il buon operato dell’Agenzia. Avverso la determinazione dei primi giudici, l’associazione proponeva quindi appello alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, chiedendo, ancora una volta, l’annullamento dell’accertamento emesso dall’ufficio.

Le mancate agevolazioni

Per quanto concerne i benefici riconosciuti dalla legge n. 398/1991 a favore degli enti non commerciali, segnaliamo come la stessa abbia  normato i regimi fiscali e contabili delle associazioni, in particolare di quelle di natura sportivo-dilettantistica, introducendo un regime fiscale agevolato per le Asd che non hanno scopo di lucro, che sono affiliate alle Federazioni sportive nazionali o agli Enti di promozione sportiva e che svolgono attività sportiva dilettantistica, riconosciuta dal Coni, compresa l’attività didattica.

La disciplina agevolata riguarda sia per le imposte dirette, come IRES e IRAP, sia quelle indirette come l’Iva e prevede che le entrate delle attività commerciali vengano assoggettate a tassazione IRES solo per il 3%, con una deduzione del 97% dei proventi derivanti da attività commerciali.

Il regime è applicabile qualora tali enti, durante il periodo d’imposta precedente, abbiano conseguito proventi derivanti da attività commerciali per un importo non superiore a 400mila euro. Per usufruire dei benefici previsti dalla legge in argomento, le associazioni interessate devono esercitare l’opzione prevista dall’articolo 1 della stessa, comunicando la scelta agli uffici della Siae e dell’Agenzia delle entrate territorialmente competenti. L’opzione ha effetto a partire dal primo giorno dell’anno solare successivo a quello in cui è esercitata ed è valida per un quinquennio, sempre che non vengano meno i requisiti previsti dalla legge, ovvero l’assenza del fine di lucro dell’associazione o della società che svolge attività sportiva dilettantistica e l’affiliazione alle Federazioni sportive nazionali o agli Enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi delle leggi vigenti.

Oltre alle agevolazioni previste in tema di determinazione del reddito imponibile, le associazioni sportive dilettantistiche, che hanno esercitato l’opzione, sono esonerate dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili (articoli 14, 15, 16, 18 e 20 del DPR n. 600/1973) e dalla registrazione delle fatture, dall’emissione di ricevute fiscali e scontrini, dalla presentazione della dichiarazione Iva annuale, dalla tenuta delle scritture contabili proprie delle imprese commerciali, delle società e degli enti equiparati e dalla redazione del bilancio (Titolo II del DPR n. 633/1972).

La decisione in appello dei giudici tributari

Chiamati a pronunciarsi definitivamente nel merito della questione, i giudici tributari calabresi hanno dato ragione al fisco, respingendo l’appello dell’ASD. La presenza, infatti, di un “tariffario piscina comunale”, dal quale si evince chiaramente che i prezzi variano a seconda delle discipline praticate, e nel quale è prevista anche una scontistica tipica delle attività commerciali, a dispetto di quanto prevede il carattere associativo dell’ente con accesso dei soci, con pari diritti alle attività istituzionali, è, per i magistrati di secondo grado, una prova inconfutabile dell’attività commerciale svolta dall’associazione medesima.

Sul punto, i giudici hanno, infatti, recisamente affermato che:

“… una simile e decisiva circostanza, peraltro pacifica ed incontestata, prova chiaramente la gestione dell’attività associativa secondo una logica imprenditoriale con lo scopo di offrire ai propri associati specifiche prestazioni dietro corrispettivo variabile, caso per caso, secondo il tipo di prestazione e corso richiesto, con carattere di sistematicità ed organizzazione permanente, dotata di locali adeguati, apparecchiature e personale”.

Discorso similare hanno fatto i giudici di appello per quanto concerne le quote associative. A loro avviso, infatti, le quote in questione assumono valenza commerciale quando sono versate in ragione del diverso utilizzo, da parte dei soci, dei servizi forniti dall’associazione, costituendo in tale ipotesi il sostanziale corrispettivo dovuto in base a un rapporto sinallagmatico che si instaura tra soci ed ente, proprio come è avvenuto per la ASD parte del giudizio. La previsione di quote sociali così strutturate, ma soprattutto la presenza del citato tariffario hanno fatto propendere i giudici tributari di secondo grado per riconoscere una chiara natura commerciale all’associazione sportiva dilettantistica, confermando così il corretto operato dell’ufficio e respingendo definitivamente nel merito l’appello proposto dalla medesima ASD.

Conclusioni

I gestori dei sodalizi sportivi dovrebbero ben tenere a mente l’inestimabile valore delle agevolazioni concesse agli enti sportivi, soprattutto per il tramite della legge n. 398/1991. Di conseguenza, gli accorgimenti da seguire, per quanto “dolorosi”, devono guidare le politiche di prezzo e di offerta degli enti sportivi. Il consiglio è quello di adottare la medesima quota (che si tratti di quota associativa o di tesseramento) e di evitare scontistiche e promozioni palesemente commerciali che smaschererebbero la disuguaglianza tra soci o tesserati. Le offerte, spesso più stravaganti, che si possono rinvenire sui social o sui volantini pubblicitari possono infatti legittimare un accertamento da parte degli organi preposti, con conseguenze potenzialmente letali per il prosieguo dell’attività sportiva dell’associazione.

Nell’esempio trattato il contenzioso riguardava una piscina, ma è potenzialmente estendibile a qualsiasi altra disciplina sportiva. Affidarsi ad un buon commercialista o consulente dovrebbe essere la regola, non l’eccezione come accade nell’era del fai da te e dei social network.

Vincenzo D’Anzica

Dottore Commercialista e Revisore Contabile

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